Intervista esclusiva a Renzo Rubino, la prima dell’anno per il cantautore martinese DOC

di Matteo Gentile

Seduti a quel caffè, con il cielo e le previsioni che promettono neve, davanti a una sana tisana allo zenzero, mentre salutiamo Renzo Rubino ed Emiliano Narcisi che si accomoda con noi, non possiamo non pensare al giovane Renzo con cui abbiamo condiviso tempo fa un’esperienza giornalistica televisiva. Un’emittente privata locale per la quale curavamo insieme il notiziario da Martina Franca, chi scrive cronista e inviato, Renzo regista e operatore al mix per montare i servizi, garantire il collegamento, smistare le telecamere. Saremo di parte, forse, nell’affermare che in quel giovanissimo studente del liceo artistico, tra uno scambio di battute, tra canzoni accennate mentre si scaricava un video, tra uno scherzo con il suo Pig, carlino dispettoso e curioso, si intravedeva già quel “sacro fuoco” della passione per qualcosa che fosse “oltre”.
E adesso, mentre il cameriere ci porge qualche pasticcino, tra il fumo delle tisane e il calore di un ambiente a misura d’uomo, ci apprestiamo a questa intervista, che poi vogliamo sia una chiacchierata confidenziale tra Renzo e i nostri lettori. Intervista che, per Renzo, e lo sottolinea lui stesso, è la prima di questo 2017 che si preannuncia ricco di nuove esperienze. Secondo le buone regole del giornalismo, dovremmo dargli del “lei”, ma i lettori ci perdoneranno se proprio non ci riusciamo a non evitare una forma colloquiale con questo giovane talento della nostra terra. E allora cominciamo.

Renzo, quanto c’è ancora in te di quel giovanissimo che frequentava il liceo artistico e “giocava” a fare la televisione?
“Mamma mia! (sorride guardando in alto, quasi a voler rivedere come in un film quel tempo non così lontano sul calendario ma ormai distante nei fatti) Bè, ovviamente ero molto acerbo, e ancora non avevo bene in mente cosa volessi fare nella vita. Sicuramente avevo necessità di comunicare nel mio modo, di comunicare quello che vivevo. In quel caso avevamo come mezzo comunicativo la televisione. Io mi divertivo a spippolare dietro le macchine, imparavo a fare i montaggi, ero molto curioso e cercavo di dare ai servizi un taglio un po’ diverso dal solito, proprio per quella mia esigenza di scoprire. La musica la vivevo essenzialmente come divertimento e ancora non la consideravo un’opportunità. Era semplicemente un desiderio, un condividere il palcoscenico con i miei amici, non avevo la presunzione di pensare che da lì a poco sarebbe poi diventata veramente il mio lavoro. Oggi, dopo tutto questo percorso, è rimasta in assoluto in me la voglia di scoprire, di comprendere e appropriarmi di alcuni meccanismi nuovi, di scoprire come poter evolvere il mio modo di comunicare”.

Oggi hai il tuo pubblico di fan che ti segue, c’è chi conosce le tue canzoni a memoria, ma c’è anche chi sta imparando a conoscerti adesso. Poi c’è quella parte di critica che parla bene di te, e quella invece che ti ignora, oppure finge di ignorarti, e comunque è abbastanza normale in un mondo musicale in cui c’è ampia proposta e i nuovi personaggi nascono e scompaiono nel giro di pochi mesi. Tu, comunque, piaci a un certo tipo di pubblico e di critica, e i risultati sanremesi, ma non solo, parlano chiaro. E tuttavia non si può piacere a tutti. Ma tu, in tutta confidenza, ti piaci?
“Per fortuna nessuno piace a tutti, neanche Dio piace a tutti. Io però sono molto felice delle mie scelte, altrimenti non sarei qui. Molto spesso mi capita di parlare con altri amici, musicisti e artisti che magari sono un po’ “tristi” e insoddisfatti rispetto alla carriera che stanno vivendo. E magari, a livello di popolarità e notorietà sono anche più conosciuti e riconoscibili rispetto a me, ma soffrono un po’ per le decisioni che altri impongono loro. Ma parlando di me, ti posso assicurare che sono molto soddisfatto di quello che ho fatto e sto facendo, e ne sono molto fiero. Semplicemente perché è proprio quello che voglio fare. In questo periodo della mia vita dovevo scegliere se fare musica o fare il personaggio che utilizza la musica per essere presente in radio, in tv, sui media, insomma per esserci, per inseguire quello che alcuni chiamano “il successo”, che poi è una cosa che a me non è mai interessata più di tanto. A me interessa condividere con gli altri le emozioni e le esperienze che vivo. Penso che sia uno dei momenti più gustosi che ho a disposizione (casualmente lo dice guardarndo i pasticcini che reclamano attenzione, ndr), ma è anche il momento più bello che posso avere nel rapporto con gli altri. Quando canti una canzone ed entri in empatia con chi la sta ascoltando, credo che sia una delle cose più belle che ci siano state donate. Così com’è bello vedere un film, leggere un libro e sentirsi in quel mondo, immedesimarsi nei personaggi e trarre da queste cose un insegnamento o una riflessione sulla propria vita. Credo che la musica sia una fortuna per me, perché da qualche parte è arrivata e io l’ho accolta con tutto me stesso. E ho sempre cavalcato l’onda del “voglio migliorarmi”, voglio realizzare il mio “David”, voglio dipingere la mia “Cappella Sistina”, voglio girare il mio “C’era una volta in America”, voglio lasciare qualcosa che sia “bellissima”. E per me questa cosa, oggi, è il mio disco, di cui sono molto fiero. Credo che la critica nei miei confronti apprezzi proprio questo aspetto, cioè che io non faccia il mestierante, ma che cerchi, con grande sacrificio, di fare musica. Punto!”

Molto chiaro e convincente, credibile, soprattutto. Renzo, riferendoti alla tua arte, perché così possiamo chiamarla, hai usato la parola “condividere”, così abusata nei social network. Ma a parte chi ti conosce bene e vive con te tutti i giorni, non si sa molto del tuo “privato”. Consentimi una domanda che può sembrare strana ma non lo è.
” Vai!”

A casa tua, quella di Roma o quella di Martina Franca …
“Martina, Martina, sono tornato a vivere qui, prima in campagna e ora nel centro storico, che è bellissimo …”

Bene, nella tua casa c’è una stanza in particolare che ami di più o dove ti piace rifugiarti?
“In realtà amo la casa in generale, e quasi tutta la mia casa mi assomiglia. Quindi puoi trovare il pianoforte da una parte, il basso appeso al muro, l’organetto appoggiato sul divano, sul cavalletto il quadro che devo ancora finire. La mia casa è tutto quello che ho nella testa e mi piace molto viverla. Questo perché mi piace molto vivere la mia intimità, e amo moltissimo fare le cose “normali”. La casa è stato il luogo fisico ed emotivo dove in questi due anni ho lavorato per scrivere il mio nuovo disco, che è stato molto complicato. Molto complicato perché io sono convinto che per realizzare qualcosa di bello sia necessario del tempo, e la tranquillità, la genuinità di casa mia e della mia Martina Franca mi hanno molto aiutato a farlo. Ti posso assicurare che la mia vita è normalissima, vado a fare la spesa al supermercato, vado da Assunta a comprare la carne, gioco a calcetto con gli amici, incontro Mincuccio che passa tutte le mattine e mi racconta le sue avventure di novantacinquenne che è stato prigioniero di guerra. Vivo il mio vicinato con pienezza, vivo il cosiddetto “piccolo” perché è là che trovi la poesia e quel qualcosa di grande che poi è la verità. In effetti una cosa che io non capisco è questa sorta di distanza che alcuni personaggi dello spettacolo creano con il pubblico. Secondo me è una cosa assurda, perché allora ci dovrebbe essere distanza anche tra il panettiere che fa bene il suo mestiere con chi va a comprare il pane. Anche lui, in un certo senso, è un artista, che offre il prodotto del suo lavoro a chi lo sa apprezzare. Quindi amo la normalità ed essere il più vicino possibile alle persone. In mezzo a tutta questa normalità c’è il mio lato da “supereroe” musicista che ogni tanto mi chiama, mi morde e mi suggerisce “Renzo, guarda quella cosa lì, può essere una canzone, o quell’altra può essere lo spunto per il tuo video”.

Quindi, a bruciapelo, tu ti senti un artista?
“(Un momento di silenzio, uno sguardo che non si capisce se voglia fulminare il cronista oppure ringraziarlo per la domanda …) mmmm … Guarda, è difficile, non lo posso dire di me stesso. Detto con le pinze, io mi sento in grado di raccontare delle storie in un mio modo personale … e secondo me, unico. Per me un artista è colui o colei che ti fa vedere il mondo da una prospettiva che tu non avevi considerato. Diciamocelo, non tutti i musicisti possono essere definiti degli artisti. Se uno suona il violino in quel modo lì, unico e personale, incredibile, allora lo si può definire un artista, altrimenti è un artigiano, colui che sa fare benissimo il suo lavoro. Io non posso dirti se io sono un artista, ma cerco e ambisco a realizzare le mie cose in maniera unica e riconoscibile.

Questo richiama quanto dichiarato dalla grande attrice italiana Lea Massari in un’intervista realizzata da Oriana Fallaci: “Ambizione? E chi ha l’umiltà necessaria per avere ambizione? In questo mestiere ambizione equivale a umiltà”. La tua umiltà di fondo ti porta ad ambire a grandi traguardi.
” Certo, bisogna essere assolutamente umili, però più che sforzarsi di esserlo bisognerebbe in realtà essere se stessi. E per ambire a qualcosa di grande, secondo me, bisogna pensare ancora più in grande. Mi sento di dire che, ovviamente, c’è una parte di “ego” che viene fuori, altrimenti non farei musica nonostante io sia una persona molto timida. E’ proprio quella parte lì che vuole tirar fuori qualcosa di incredibilmente unica. E’ il ricercare quella cosa lì che mi spinge ad andare sempre oltre. Ovviamente, saranno poi gli altri a dire se sono riuscito in qualche modo a fare quella cosa unica e incredibile”.

Effettivamente, possiamo affermare che chiunque ascolti i tuoi brani, partecipi ai tuoi concerti e veda le tue performance si renda conto che tu effettivamente sei te stesso, senza maschere preconfezionate da indossare a seconda della circostanza. E in questo tuo essere te stesso, in molti brani, quali Bigné o Pop, ma anche quelli che trattano tematiche “forti”, come lo stesso “Il postino”, possiamo trovare molta ironia. Questa ironia, quindi, ti appartiene? La vivi al bar, dal panettiere, al supermercato, insomma nella tua vita quotidiana?
” L’ironia è una dote che ho sempre visto molto forte in artisti come Enzo Jannacci, che riusciva a comunicarti in maniera geniale, facendoti sorridere, delle cose in realtà terribili. Attraverso l’ironia ti faceva riflettere. Comunque secondo me la vita in generale va presa con ironia, riuscendo a ridere anche in situazioni non molto semplici, con quello sguardo che osserva il mondo e le cose con aria disincantata e però sa cogliere aspetti che magari qualcuno non saprebbe riconoscere”.

Ma parlando dei tuoi tre album, anche se per un musicista può essere difficile dirlo, c’è un brano che ami particolarmente più degli altri, e magari uno che invece cordialmente detesti?
” Mi piacerebbe dire uno dei brani che bisognerà ancora ascoltare e che si trova nel prossimo disco che sta per uscire. E’ vero anche che sono legato ad alcune canzoni che mi ricordano alcune fasi della mia vita artistica, come per esempio “L’altalena blu” o “Lulù”, che non sono mai state dei singoli e che non avranno mai la luce di quelle che vengono promosse, ma che quando canto lo faccio come se fosse l’ultima volta”.

E una che, invece, pensi sarebbe stato meglio se non l’avessi scritta?
” C’è una canzone di cui però non dico il titolo, che in realtà è molto divertente, e che io avevo scritto per un altro artista. Poi, per una serie di cose, non è stata più presa dalla persona cui era destinata, ma abbiamo deciso di inserirla lo stesso in un mio album. Quindi, non è che non mi piaccia, semplicemente non la sento del tutto mia”.

In effetti non si può chiedere a un cantautore di disconoscere un proprio “figlio artistico”. A questo punto, fermati e datti un voto!
” Mah, il mio voto preferito, anche perché quando lo prendevo al liceo era un miracolo, è senza dubbio il sette. Per me il sette è discreto, nel senso che non mi sento in una posizione di dire né che ho fatto il minimo per avere la sufficienza, né di aver fatto il massimo possibile. Sette per me vuol dire che mi sono impegnato, ho fatto anche degli errori, ma ho fatto delle cose belle. Però posso ancora migliorare tanto per aspirare a quel dieci che forse non voglio prendere mai perché voglio sempre migliorarmi”.

Andando a leggere i testi dei brani che hai pubblicato, si nota che la parola amore ricorre, anche se non spesso, riferita soprattutto all’interlocutore, alla persona amata. Quella che invece non si riesce a trovare, è felicità. Come mai?
” Innanzitutto, dopo che l’ha detta Albano, secondo me non la può dire più nessuno. Se io dico felicità, è Albano, perché lui l’ha descritta in tutta la forza della sua semplicità (e si vede che lo dice, convinto, senza ironia, ndr)”.

Ma tu sei felice?
“Io sono felice, certo che sì! La felicità non la puoi descrivere, però il mio sentirmi felice mi permette di parlare anche di “disperazione”. Se non avessi questa condizione di serenità nella quotidianità farei grande fatica nel parlarne. Posso dire di aver fatto la pace con me stesso su tutta una serie di cose, mi ritengo una persona fortunata e serena, di conseguenza felice, perché io non credo che la felicità sia soltanto una questione di attimi. Mi viene in mente un aneddoto vissuto con un mio insegnante del liceo di religione, che mi ha fatto capire molte cose. Era molto giovane, tra l’altro. Un giorno entrò in classe e scrisse sulla lavagna la parola “entusiasmo”. E ci chiese: “sapete cosa significa questa parola?”. Dopo qualche attimo di perplessità, ci rispose lui stesso: “entusiasmo significa: Dio in te”. Al di là dei canoni della religione, questa parola mi è rimasta nella testa. Avere la sensazione di poter incanalare le cose belle dentro di sé e quindi trasformarle in entusiasmo, e nel mio caso l’entusiasmo genera musica. Paradossalmente, anche quando c’è sofferenza, la miccia che questa accende è sempre l’entusiasmo di poterla raccontare”.

Siamo quasi in chiusura, la tisana allo zenzero continua a espandere il suo aroma ma si sta un po’ raffreddando. Però quando parli di raccontare la disperazione non si può non pensare al tuo brano “Eri bellissima” in cui affronti il delicato ma allo stesso tempo forte tema del femminicidio, dove alle volte viene accostato alla parola “amore” il termine “malato”, in una evidente contraddizione.
” L’amore che si trasforma in morbosità e non ti fa più vivere secondo me non si può definire amore. Ci sono persone, che definire delinquenti è anche poco, che commettono dei delitti definiti “passionali” perché per “il troppo amore non ci hanno visto più” … bè, penso che quello non si possa certo chiamare amore, ma è una sorta di malattia. “Eri bellissima” l’ho scritta dopo aver visto l’”Otello” di Orson Wells. La storia di Otello la conosciamo tutti, ed è di per sé una storia malata di amori, gelosie, di gente che si mette in mezzo, di tradimento che poi è una storia che si ripete spesso nella realtà”.

Ma tu pensi che la musica possa in qualche modo, raccontando anche queste storie, contribuire a combattere questo condizione assurda per cui, solo nella civile Italia, ogni tre giorni muore una donna, uccisa da chi invece dovrebbe amarla e rispettarla?
“Non solo la musica “può” fare qualcosa, ma io credo che ogni persona che abbia un minimo di visibilità e di influenza debba far sentire la propria voce per condannare tali gesti. Perché credo che fare prevenzione, a parte casi estremi o legati a disturbi mentali, consista nel creare una cultura del rispetto e della responsabilità. Anche quando ho scritto “il postino” (che parlava di un amore tra due uomini, ndr) e ho pensato di portarlo a Sanremo, non intendevo scrivere una canzone sociale. Per me era una canzone tranquillissima. Siamo nel 2013, pensavo, chi potrà mai crearmi dei problemi? E invece ho avuto una serie di minacce omofobe, commenti crudeli e cattivi su youtube, da parte di gente secondo me malata. E quindi sì, è necessario parlarne, sensibilizzare, combattere pregiudizi e false convinzioni. La musica è un racconto personale che può far riflettere. E quindi, ripeto, credo che i personaggi pubblici, e ce ne sono tantissimi molto più popolari e noti di me, debbano mettere a disposizione la propria notorietà per parlare di questi argomenti accendendo un faro che faccia in qualche modo prevenzione attraverso l’educazione e la cultura che fa bene all’animo umano”.

Tornando invece a parlare della tua parte più intima, che rapporto hai con la solitudine?
” Io amo la solitudine! Per me imparare a star soli è una cosa che tutti dovrebbero provare a fare. Stare bene con se stessi è fondamentale per star bene con gli altri. Andare a vedere un film da soli così come si legge un libro da soli ti dà la possibilità di riflettere su te stesso e sulle situazioni che vivi. Tanta gente ha paura della solitudine, e invece il silenzio ti permette di vedere le cose in maniera diversa e, ripeto, sentirsi bene con se stessi”.

Hai paura del buio?
“No, sinceramente non ho paura del buio. Anche perché, in realtà, il buio è uno stato destinato a dar spazio alla luce. Se c’è il buio, vuol dire che c’è la luce, quindi bisogna saper vivere il buio e lasciarsi andare. Vivere la solitudine, come dicevamo prima, vivere il silenzio, per poter dall’altra parte gustare la luce della vita e dell’entusiasmo”.

Per concludere, c’è qualcosa che non hai mai detto e che vorresti dire?
“In realtà io dico già tanto con le mie canzoni. Comunque mi piacerebbe ribadire perché io sia voluto tornare a vivere nella mia Martina Franca in un momento in cui tutti vanno via. Io sono tornato innanzitutto perché il mio lavoro mi ha dato la possibilità di farlo. Però mi piaceva l’idea di dimostrare che si può costruire qualcosa qui, che questa terra ha bisogno di persone che investano sul territorio, ognuno secondo le proprie capacità e possibilità. La tecnologia e le nuove realtà hanno accorciato le distanze, quindi è possibile lavorare anche a Martina Franca come a Milano o a Roma. Mi piacerebbe che chi è andato via potesse tornare per condividere le esperienze e le professionalità acquisite e, insieme, costruire qualcosa di bello e di buono”.

D’altronde, con lo spettacolo del 30 dicembre tuo e di Donato Carrisi, lo scrittore italiano di thriller più letto al mondo, e con il supporto di altre eccellenze locali, come lo stesso Emiliano Narcisi (e lo diciamo non solo perché sia presente) e come Graziano De Pace, videomaker che si sta facendo strada, avete dimostrato che, insieme, si può costruire qualcosa di bello.
“E come no? Tutti insieme dobbiamo lavorare per invertire la rotta, per non sentirci più il “mezzogiorno” d’Italia ma un polo culturale e artistico che diventi un punto di riferimento molto più di quanto non lo sia già diventato dal punto di vista turistico nel periodo estivo. Se io avrò un figlio vorrei che nascesse qui, poi gli direi viaggia, vivi il mondo, fai le tue esperienze, ma costruisci qualcosa di buono qui”.

Così come il tuo nuovo disco, che hai costruito qui e che fra pochi mesi, a marzo, vedrà la luce. Titolo?
“Non lo diciamo, anche se ne abbiamo già parlato. Ma “verba volant”, quindi … Vorrei mandare un saluto ai lettori di Saturno 22, a tutti i martinesi, e a tutti coloro che si soffermeranno ad ascoltarci”.

E allora lasciamo volare la fantasia e ci salutiamo mentre fuori ormai è buio.
Si accendono le luci per strada, Renzo calca meglio il suo cappello per impedire al vento di rubarglielo, e mentre si allontana il suo cappotto svolazza leggero. Così com’è più leggera la vita se vissuta con entusiasmo.

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